Il Paraclito, i grandi Bodhisattva e il Bosatsu dell’Oriente I

Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro la mattina di Pasqua – Eugène Burnand

“ Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede, è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16, 12-15).

1.1. Il Paraclito e la nuova Pentecoste

Gli ultimi giorni prima della domenica della Pasqua ebraica il Cristo iniziò nei suoi commenti della Sua imminente morte a parlare del Consolatore o dello Spirito di Verità che il “Padre” avrebbe mandato dopo la Sua dipartita da questo mondo. Egli inizia a parlarne e a prepararli in tre momenti diversi cui è riportato nel vangelo di Giovanni, cioè nei paragrafi 14,15-25; 15, 26 e 16, col titolo “La venuta del Paraclito”. Nel paragrafo 16, Egli è più esplicito citandolo per due volte, ove spiega ai discepoli della Sua imminente dipartita e la promessa di mandare loro il Paraclito attraverso il quale sapranno la “Verità” sul Cristo, in quanto non sono ancora maturi per comprenderla: «Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò … Verrà lo Spirito di verità, ed egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,7-13). Con queste parole il Cristo annunciava ai discepoli l’arrivo del “Paraclito o Consolatore” che secondo l’interpretazione della Scienza dello Spirito o antroposofia, ci porta alla concezione orientale della dottrina dei Bodhisattva1, i quali sono gli “inviati” dello Spirito Santo che hanno il compito d’istruire l’umanità alfine possa comprendere sempre più l’essenza divina dell’Io Sono del Cristo. In Giappone sono conosciuti come “Bosatsu” dalla corrente buddhista, i quali attendono l’arrivo del Bodhisattva Miroku (si tratta del Bodhisattva Maitreya cui ne parleremo più avanti), una specie di Messia giapponese che sarà il nuovo Buddha che restaurerà una nuova era e sviluppo del buddhismo.  Grazie a questa corrente dei Bodhisattva l’umanità può rafforzare ed elevare la sua coscienza dell’io fino a realizzare in sé l’autocoscienza individuale autonoma e libera. Attraverso questo impulso bodhisattvico proveniente dall’oriente quale corrente del Sé spirituale, ogni uomo può lavorare moralmente e spiritualmente su se stesso trasformando i suoi arti inferiori perituri in arti divini superiori imperituri, realizzando così l’eternità dell’anima che gli consentirà alla fine di ri-congiungersi con la sua immagine divina o Io superiore. Oltre a questa corrente graalica del Sé spirituale proveniente dall’est, esistono nel mondo altre tre correnti importanti provenienti da tre direzioni diverse della Terra, ossia: “La corrente dello Spirito Vitale proveniente da occidente (di cui facevano parte i cavalieri del re Artù), la corrente dell’Uomo Spirito proveniente dai misteri del sud e infine, la corrente dell’Io proveniente dai misteri del nord” (vedi Bernard C.J. Lievegoed, “Le correnti di misteri in Europa e i nuovi misteri”).

Queste quattro correnti come vedremo più avanti, confluiranno nella corrente antroposofica insieme alla corrente cristiana e rosicruciana che nel dicembre del 1923, insieme alla presenza spirituale di Kristian Rosenkreutz e il Maestro Gesù, Rudolf Steiner unisce con la “Posa della Pietra di Fondazione” durante la nascita della Società Antroposofica Universale di Dornach in Svizzera.  Il Cristo in alcuni momenti cui era solo con i discepoli, cercava d’istruirli facendo loro conoscere la Sua natura divina più profonda, ma la maggior parte di essi non era in grado di comprenderlo, così come i Suoi insegnamenti non sempre erano compresi quando spiegava loro il significato delle parabole insegnate al popolo ebraico, cui a volte, restava amareggiato per la loro incomprensione. I discepoli difatti avevano difficoltà nel capire l’insegnamento che il Cristo spiegava loro in concetti ciò che al popolo esprimeva in parabole tramite immagini allegoriche che gli apostoli dovevano poi in disparte, sforzarsi di concettualizzarle in modo da risvegliare in loro la coscienza dell’Io autonomo individuale. Ciò affinché potessero staccarsi dall’anima di gruppo abramitica, in modo da conoscere attraverso il Cristo, il vero Padre Celeste solare esistente oltre la sfera del Dio lunare di popolo Jehovah. Il nome Jehovah, infatti, è una falsa ibrida forma che sostituiva il tetragramma sacro impronunciabile “YHWH” del nome divino che il popolo sostituì con Adonai (Signore) ed Elohim (gli Dei) e che nei secoli successivi i biblisti tradussero con Jahvè (Colui che è), infine nel XIX secolo perse ogni valore semantico col nome “Geova”. Per questo il singolo individuo ebreo sentiva maggiormente l’unione col Padre Abramo, il capostipite della stirpe ebraica con il quale si sentiva tutt’uno. Egli non sentiva in sé la natura spirituale individuale come la percepiamo in noi oggi come singola personalità umana, ma sentiva la sua protezione in seno all’anima collettiva del popolo, la cui discendenza risaliva appunto fino ad Abramo.

Erano per questo uomini d’istinto, ancora immersi nell’anima senziente, non pensavano affatto come facciamo noi oggi attraverso il pensare individuale cosciente come quando vogliamo comprendere un concetto filosofico. Essi comprendevano attraverso un pensare immaginifico cui non erano in grado di afferrare la saggezza spirituale intellettualmente, perciò il Cristo Gesù usava parlare loro tramite immagini allegoriche giacché il loro modo di pensare, era ancora poco evoluto rispetto alla cultura greco-romana o pagana, cui era più avanzata. L’Altissimo Dio solare non era venuto per unire il popolo ebraico o liberarlo dal giogo romano, era venuto per separare, per frammentare appunto l’anima di gruppo ebraica alfine potesse accogliere in sé l’elemento individuale divino, cioè l’impulso spirituale dell’Io Sono, che più tardi li avrebbe liberati dall’autorità della legge mosaica e che li avrebbe trasformati nell’aprirsi con amore e col perdono a una nuova comunità universale, grazie all’evento del Golgotha. Per questo durante il Suo commiato annunciò loro la venuta dello Spirito di verità, ovverosia del Paraclito o Bodhisattva proveniente dalla comunità dello Spirito Santo che avrebbe spiegato e fatto comprendere chi Egli fosse; lo stesso Spirito che nel giorno della Pentecoste ebraica si manifestò agli apostoli come lingua di fuoco che scese sul loro capo adombrandoli con il Sé Spirituale o Manas. Il Cristo scelse di proposito due feste particolarmente importanti del popolo ebraico, ossia la Pasqua e la Pentecoste, di cui la prima rappresentava l’uscita dalla schiavitù egiziana attraverso il passaggio del mar Rosso che costò al popolo ebraico il pellegrinaggio di quarant’anni nel deserto del Sinai prima di arrivare alla terra promessa. La Pentecoste simboleggiava invece il giorno in cui il Dio lunare Jahvè o Jehovah, aveva dato a Mosè sul monte Horeb o Sinai, le tavole della legge o la “Torah” biblica dopo i cinquanta giorni cui li aveva liberati dalla schiavitù del faraone Thutmose I. Col tempo la Pentecoste divenne la festa della mietitura e durava appunto sette settimane dopo la Pasqua ebraica, in cui si offrivano al Tempio le “primizie” di ogni tipo di raccolto. Egli volle rinnovare la Pentecoste ebraica che rappresentava ormai piuttosto un rituale esteriore decadente inerente ai soli beni materiali, che pensava solo più a rimpinzare le casse dei sacerdoti farisei adoratori di divinità luciferiche e arimaniche, giacché la “bat kol” la voce divina era ormai diventata muta e da molto tempo ormai non ispirava più i profeti ebraici. Anche l’Arcangelo Michele difatti, quale volto del Dio lunare Jahvè, aveva terminato il compito di guidare e proteggere il popolo ebraico, perché il Dio solare l’Io Sono l’Io Sono che aveva da sempre ispirato dal Sole il Dio lunare Jehovah, si apprestava a scendere sulla Terra e attraversare come uomo l’evento della morte umana. Intanto l’Arcangelo Michele si preparava a salire al rango superiore di Archai o Spirito della Personalità; ciò sarebbe accaduto durante la sua reggenza nel quinto periodo di cultura2 dell’anima cosciente3, cioè nel 1879, un decennio prima della fine dell’epoca oscura del kali yuga4 (3101 a.C. – 1899) e dell’entrata nell’epoca luminosa del Dvapara Yuga (Epoca del Bronzo 1899-6899). Vale a dire che Egli si apprestava a diventare uno Spirito del Tempo o Archai e nello stesso tempo, quale reggente del periodo cosmico che va dal 1879 al 2233 circa, per diventare nella nostra epoca il volto del Dio solare, il volto del Cristo.

Per meglio comprendere quest’aspetto micheliano diciamo che Michele nel XIX secolo da spirito notturno lunare quale volto di Jehovah (Adonai o Geova), è divenuto spirito diurno solare quale volto del Cristo. Pertanto essendo il Cristo quale sostanza di puro amore, di conseguenza Michele non opera più nel capo o attraverso l’intelligenza umana, ma opera attraverso il cuore, là dove ispira l’uomo ad accogliere con amore l’intelligenza cosmica sfuggitagli dal cosmo, la quale divenuta luciferica è confluita nell’intelletto umano dal nono secolo in poi, in concomitanza dell’ottavo concilio ecumenico di Costantinopoli tenuto nell’anno 869-70, dove la Chiesa cattolica dichiarò eretico credere nella tricotomia paoliniana eliminando col tempo, lo spirito nell’uomo. L’uomo ha ora la possibilità attraverso la Scienza dello Spirito o antroposofia di divenire cosciente dell’esistenza dello spirito cosmico in lui e del dramma universale micheliano, accogliendo con l’intelletto i concetti astratti di saggezza cosmica micheliana divenuti, luciferici. Qui egli dopo averli purificati dall’egoismo intellettuale ed elevati spiritualmente, deve farli scendere nel cuore laddove dopo averli scaldati col fuoco dell’anima e congiunti con l’impulso del Cristo, deve con amore farli risalire trasformati in forze intellettive veggenti o immagini viventi, di nuovo verso Michele. (Vedi il Blog  “Pensieri Antroposofici dell’Anima”, “ L’immagine di Michele quale riflesso nel corpo eterico umano”). Per questo il Cristo in vista della Sua visione futura, volle rinnovare attraverso la morte sul Golgotha il significato della Pasqua mosaica, dandogli ora un nuovo impulso spirituale al posto della vecchia tradizione antica che vedeva il popolo liberato dalla tirannia egiziana, sostituendola con il dramma della morte umana. Attraverso la morte e resurrezione mostrò nel giorno della Pasqua ebraica i due aspetti della morte: da una parte la morte mistica che avveniva nei misteri occulti del Tempio dove l’anima tramite il potere ipnotico del sacerdote iniziatore (Ierofante), era fatta uscire dal corpo dove in una specie di coscienza ottusa incontrava il Dio solare (il Cristo), dopodiché nel terzo giorno era richiamata dallo Ierofante a rientrare nel corpo in uno stato di semi-risveglio spirituale, di uomo illuminato. Dall’altra volle mostrare all’umanità di allora che la morte non esiste ma è solo un passaggio fra due stati o dimensioni diverse, cosicché mentre il corpo fisico materiale è lasciato indietro sciogliendosi nei minerali terrestri, l’anima e lo spirito si rivestono o meglio, sono rivestiti dagli esseri angelici di corpi spirituali più sottili in modo da vivere in una comunità spirituale superiore, dove insieme con altre anime umane e agli Dei, preparano i germi spirituali dei loro nuovi corpi terreni. La morte era vinta! La morte che incuteva terrore nei Greci antichi tanto da far dire al Pelide Achille, l’eroe semidio: “ Meglio essere un mendicante sulla terra che un re nel regno delle ombre”, era ormai superata con la vittoria dello spirito sulla morte. Il Cristo diede la speranza ai Greci che dopo la morte non si è più ombre, ma che la coscienza dell’io da Lui risvegliata attraverso la morte di Gesù di Nazareth, non si sarebbe più spenta ma che sarebbe sopravvissuta anche dopo la morte grazie al Suo corpo di resurrezione. Egli con la Sua luce illuminò il mondo oscuro arimanico e asurico, fino all’ultimo strato spirituale oscuro terrestre (la discesa all’inferno) dove pose le basi affinché la Terra possa un giorno diventare un nuovo Sole e, facendo sì che Arimane non oltrepassasse più i limiti concessagli dal Padre cosmico. La morte quale immagine illusoria arimanica tanto temuta era vinta, aveva perso il suo pungiglione velenoso! “Morte dov’è il tuo pungiglione, dov’è la tua vittoria?”,chiede Paolo di Tarso nella prima Lettera ai Corinzi (15,55). Il Cristo col Suo atto rivelò ai discepoli il vero aspetto spirituale che opera dietro la morte, ossia attraverso la morte ci si rivela il volto del Padre; attraverso la morte, ritorniamo al Padre! Per questo la festa antica della Pasqua mosaica che li liberava dalla schiavitù del faraone, doveva essere superata dal nuovo impulso cristiano della Pasqua di esortazione dell’anima, alfine che lo spirito umano si liberasse dai ceppi della materia per vivere quale spirito libero e autonomo nella sfera del Padre divino che si manifestava ora agli uomini attraverso il Cristo, in una forma spirituale diversa, ossia tramite l’Io Sono. 

Se crediamo veramente in Cristo, la morte non dovrebbe più incuterci alcun timore, poiché con essa ritorniamo al Padre per offrirgli con la nostra esperienza terrena un nuovo seme per una prossima vita. Come il nuovo seme non può formarsi se prima non muore la vecchia pianta antica, altrettanto nell’uomo non può formarsi una nuova forma di vita, se prima non muore il vecchio uomo imperfetto che è in lui. Non può esserci un  uomo nuovo più evoluto, più perfetto, se prima quel vecchio imperfetto non muore dando la possibilità all’anima e allo spirito di poter apparire in una forma nuova più perfetta. Ciò avvenne con l’avvento della nuova Pentecoste nei riguardi dei dodici apostoli attraverso la discesa su di loro dello Spirito Santo, i quali divennero come un nuovo seme dopo essere stati purificati dal fuoco dello Spirito cosmico, la primizia di un tempo nuovo a venire dove l’umanità accoglierà il frutto della sua esperienza terrena quale principio del Sé spirituale. Difatti cinquanta giorni dopo la morte del Cristo, si realizzò la promessa che il Paraclito sarebbe da lì a poco dopo venuto e avrebbe completato l’insegnamento del Cristo, ovverosia elevando la loro coscienza fino a congiungersi col Cristo, con l’Io Sono Io Sono. Ciò, grazie ai quaranta giorni in cui furono preparati dal Cristo Gesù e dall’Illuminazione dello Spirito Santo che conseguirono dopo i cinquanta giorni dalla morte del “Signore” nel giorno della Pentecoste ebraica, quale nuovo impulso individuale e quali archetipi del principio microcosmico del Sé spirituale che l’umanità accoglierà nel prossimo millennio, cioè nel sesto periodo di cultura che è profetizzato nell’Apocalisse di Giovanni come periodo di “Filadelfia” (Apocalisse 3,7). Gli apostoli in tal modo divennero gli archetipi spirituali, le primizie di un tempo a venire dove quella parte di uomini che si sarà preparata ed evoluta secondo l’Impulso del Cristo, riceverà dall’alto del mondo angelico un principio microcosmico del Sé spirituale. Prima dunque il principio del Sé spirituale fu accolto dagli apostoli come preannuncio di quel periodo spirituale particolare che il Cristo ne fece già un accenno nelle “nozze di Cana” in Galilea, durante un matrimonio ebraico misto dove avvenne il primo miracolo della trasformazione dell’acqua in vino e poi dopo, sarà dato a quella parte dell’umanità che si sarà appunto preparata.  Il giorno di Pentecoste fu un fatto grandioso per i dodici apostoli, cui viene riportato dall’evangelista Luca nel secondo capitolo degli “Atti degli Apostoli”, in modo metodico dicendo che, mentre erano insieme in un luogo di Gerusalemme, si destarono in essi delle facoltà spirituali cui avvertirono come un “rombo di vento e delle lingue di fuoco penetrare nel loro capo dall’alto”(At 2,1-4). Sul piano esteriore non sarebbe stato possibile verificare questo fatto grandioso sperimentato dagli apostoli, giacché va visto come un fatto mistico cui è possibile verificare solo su di un piano spirituale akashico, ovverosia sul piano della memoria universale esistente nella sfera spirituale del Budhi o mondo degli archetipi di là del mondo stellare che è chiamato anche piano della Provvidenza, tramite la facoltà della chiaroveggenza.

Se fossimo veggenti, vedremmo allora attraverso la visione delle immagini dell’akasha5, discendere dall’alto del mondo angelico, un corpo astrale splendente luminoso di fuoco manasico compenetrare il corpo astrale degli apostoli, ossia il principio dello “Spirito Santo” o Sé spirituale (Manas) che ognuno di loro accolse in sé, divenendo per questo liberi e autonomi, secondo il proprio karma individuale. Questo è il significato per cui gli apostoli dopo aver ricevuto il dono del Sé Spirituale con la discesa dello Spirito Santo su di loro, ognuno parlava in una lingua diversa. Nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca scrive: “ Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa, dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e iniziarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi”(Atti 2,1-4).  (1.1. Continua) 

Collegno, giugno 2021              Antonio   Coscia

Note  Antroposofiche

 1    La dottrina dei Bodhisattva è abbastanza complessa, perché queste entità superiori appartengono a diverse classi umane-divine e in modo particolare alla categoria dei Bodhisattva Celesti, cioè gli Arcangeli, gli arci-messaggeri del mondo divino, i quali formano un cerchio di «dodici Bodhisattva» che nella sfera del Budhi, (la sfera solare oltre le stelle fisse o Devachan Superiore o, secondo un termine occidentale, il «piano della Provvidenza) contemplano e accolgono la «Pienezza Divina» del Cristo-Sole, posto al loro centro .  Sergej O. Prokofieff, in base alle citazioni di diverse conferenze tenute da Rudolf Steiner su quest’argomento, nel suo libro  “Rudolf Steiner e la fondazione dei nuovi misteri”, a pag. 71 scrive: «Un Bodhisattva è un essere di ordine cosmico che ha già superato i limiti dello sviluppo proprio dell’uomo; egli si avvicina già  all’evoluzione dell’Angelo e si trova in una corrente evolutiva nella quale la sua coscienza arriva fini alla sfera del Budhi. In altri termini, un Bodhisattva sta in una fase di sviluppo che l’umanità raggiungerà, per via naturale, soltanto su Giove. Questo si esprime nel fatto che il Bodhisattva già ora, “in modo comune” a un essere della gerarchia angelica, può, con il proprio Io [superiore], operare coscientemente alla trasformazione del suo corpo astrale in Sé spirituale. In questo lavoro egli viene ispirato da un essere di una gerarchia superiore, quella degli Arcangeli. Quando questo lavoro si avvicina al suo compimento, il Bodhisattva si reca in Terra per un’incarnazione umana completa, vale a dire che percorre quel grado chiamato da Rudolf Steiner il grado di “buddha umano”. Durante  questa sua ultima incarnazione il Bodhisattva lavora in modo comune a un essere della gerarchia degli Angeli e raggiunge finalmente il grado del Sé spirituale (l’illuminazione sotto l’albero del Bodhi). Con ciò egli completa il ciclo corrente all’evoluzione del mondo, e non deve più incarnarsi sulla Terra. D’ora in poi non lavora più, come essere della gerarchia degli Angeli, al suo corpo astrale che è divenuto il corpo luminoso del Sé spirituale (Nirmanakaya)». L’ulteriore evoluzione del Buddha consiste nel fatto che egli, partendo dal suo Sé spirituale come principio dell’io, lavora, in maniera consueta a un Arcangelo, al proprio corpo eterico e lo trasforma a poco a poco in spirito Vitale» (ibidem).

2      Affinché l’uomo possa raggiungere la meta destinatagli dagli Dei, deve attraversare degli stati di coscienza tramite dei livelli cosmici e terreni. Un maggiore approfondimento sarà dato nelle note più avanti, per adesso vogliamo spiegare i periodi di cultura, i quali sono dei sottoperiodi di  un Epoca, la cui  durata è di circa  15000 anni. La Scienza antroposofica riconosce l’evoluzione umana attraverso sette Epoche che conosciamo come: “Epoca Polare, Iperborea, Lemurica, Atlantica, Postatlantica, sesta Epoca Postatlantica e settima Epoca Postatlantica. Di cui ogni Epoca a sua volta, viene suddivisa in sette periodi di cultura di circa 2160 anni ciascuno, ossia: “Periodo Paleo Indiano, Paleo Persiano, egizio-caldaico-ebraico, greco-romano, anglo-germanico, russo-moldavo e periodo americano.

3      L’anima cosciente, l’anima razionale e l’anima senziente, sono tre forze animiche che nel corpo astrale dell’uomo formano un’unità animica-spirituale attraverso cui l’Io umano, può agire nel mondo fisico attraverso le sue facoltà spirituali umane di “volere, pensare e sentire”.  L’Io umano oltre al lavoro spirituale cui opera fin dall’epoca Atlantica sui corpi inferiori, ossia il “corpo fisico, l’eterico e l’astrale”, per trasformarli in arti superiori cosmici e cioè, in “Sé spirituale, spirito Vitale e Uomo spirito”, lavora anche alla trasformazione delle tre forze animiche in stati di coscienza superiori. Così attualmente opera alla trasformazione dell’anima cosciente in anima Immaginativa, poi dopo nel  futuro, alla trasformazione dell’anima razionale in anima  Ispirativa  e in ultimo, alla trasformazione dell’anima senziente nello stato di veggenza più alto, ossia in anima Intuitiva. Volendo sintetizzare la loro funzione nell’ambito animico della natura umana, diciamo che nell’anima senziente, l’uomo percepisce il mondo esterno attraverso la facoltà del sentire, trasferendo nella sua natura interiore la bellezza e l’armonia del creato cui l’Io umano, può infiammarsi colmo di gratitudine e di venerazione per il divino. Occorre però dire che nascono in lui anche le brame, i desideri e le passioni, e ogni sorta di piacere egoistico che egli deve imparare a dominare e a trasformare in facoltà superiori. L’anima razionale è quella parte in cui opera maggiormente il pensare  e ha la funzione di concettualizzare ogni forma esterna che le viene incontro. Qui l’Io umano forma il nucleo dell’anima, attraverso cui egli cerca la verità contrapponendosi al mondo esterno da cui trae le esperienze della vita, trasformandole in saggezza e amore per ogni disciplina che possa derivare dall’arte, dalla scienza e dalla religione. Anche qui però, egli può errare trascinato dal troppo “ego personale” egoista e quindi, comportandosi con dissennatezza, incoscienza,  stoltezza o altre qualità negative che deve dominare e trasformare con l’aiuto dell’Impulso del Cristo.  Infine, l’anima cosciente nella quale  opera maggiormente il volere umano, il cui compito è accogliere in sé tramite le azioni umane, l’essenza spirituale del mondo esterno, le verità delle leggi del creato e del mondo delle “cose” naturali,  per unirle allo spirito dell’uomo superiore quale frutto futuro di nuove facoltà spirituali. L’anima cosciente è l’essenza, il nocciolo interiore, il sacrario dell’uomo; il bene morale che accoglie dal mondo quando eleva e nobilita le sue inclinazioni negative, fanno sì che in lei possa vivere la verità eterna con cui può unirsi spiritualmente con la sua anima superiore. Se l’anima cosciente attraverso un processo di purificazione e di elevazione morale arriva a realizzare in sé l’autocoscienza, l’io umano può risvegliarsi e afferrarsi come “entità autonoma e libera” avente in sé un che di divino entro il quale si rivela la vera natura dell’Io. L’anima cosciente essendo della stessa sostanza astrale del Sé spirituale vive con essa strettamente congiunta, cosicché l’io umano che abbia conseguito l’illuminazione e il risveglio, può ora congiungersi con l’Io superiore che lo ha sempre guidato in tutte le trame del suo destino terreno conseguendo l’eternità dell’anima. Come possiamo vedere, le tre forze animiche umane sono poste tra il bene e il male, questo perché nell’uomo inferiore  operano delle “entità ostili” o di contrasto  che nella terminologia antroposofica, sono chiamati spiriti luciferici, arimanici e asurici, cui l’Io umano terreno deve  imparare a dominare fino a che un giorno, possa addirittura arrivare a redimerle, grazie all’Impulso del Cristo. (Per un maggiore approfondimento di questo tema, leggere i libri  “Teosofia e La Scienza Occulta” – Ed. Antroposofica Milano).

4      Il kali Yuga è un periodo ciclico della durata di 5000 anni. Nella religione induista l’evoluzione del mondo avviene tramite lo sviluppo di quattro ere o periodi  chiamati Yuga, i quali sono  così suddivisi:

1)   Satya Yuga o Krita Yuga, l’età dell’oro;

2)  Treta Yuga, l’età dell’argento;

3)   Dvapara Yuga, l’età del bronzo;

4)  Kali Yuga, l’età del ferro iniziata circa 3101 a.C. e terminata nel 1899 d.C.

Adesso siamo entrati nel ciclo di risalita, cioè nel Dvapara Yuga che durerà di nuovo 5000 anni, poi il Treta Yuga e infine il Satya Yuga, ove termina il  ciclo degli Yuga, ossia di  35000 anni.

5     La cronaca dell’Akasha è la memoria dell’Universo attraverso cui viene impresso come un negativo spirituale tutto ciò che viene dall’uomo  pensato, sentito e voluto, nel  mondo fisico. Occorre distinguere due aspetti dell’Akasha: l’aspetto astrale che è solo un riflesso, da quello   reale della vera sfera dell’Akasha o memoria universale che è situata nel mondo del Budhi o Mondo della Provvidenza di là del mondo stellare. Per cui, facilmente si può incorrere in errori dovuti alla poca esperienza del veggente che non abbia conseguito la facoltà della veggenza Intuitiva e che comunque nulla toglie che chiunque possa commettere degli errori, anche se non nella misura di chi abbia sviluppato o conseguito gli altri due tipi di veggenza, ossia quell’Immaginativa e quell’Ispirativa. Soltanto dunque attraverso il secondo aspetto, cioè quello reale del vero mondo spirituale superiore, tutto il passato e il futuro dell’evoluzione cosmica umana – terrestre, tutto quello che succede nel mondo fisico e nel mondo dell’anima umana, è registrato in questo piano cosmico del Budhi, come memoria universale. Rudolf Steiner in merito, nel libro “Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca” spiega: “Tutto ciò che succede nel mondo fisico – sensibile ha la sua controimmagine nel mondo spirituale. Se una mano si muove, non esiste solamente ciò che l’occhio vede, e cioè la mano in movimento, ma dietro la mano che si muove, dietro l’immagine visiva della mano ci sono per esempio il mio pensiero e la mia volontà: la mano deve muoversi. Vi è dietro un fatto spirituale. Mentre l’immagine visiva, l’impressione fisica del moto della mano passa, rimane inscritta la controimmagine spirituale nel mondo spirituale e vi lascia sempre una traccia, così che noi [ gli iniziati veggenti ], possiamo rintracciare tutti i fatti che sono avvenuti nel mondo, i fatti le cui tracce sono rimaste quali controimmagini spirituali. Nulla nel mondo può succedere senza che vengano lasciate tali tracce” (conf. del 25 giugno 1909, pag. 26 O.O. n. 112).